
Mi trovo parecchio in difficoltà a parlare di questo libro.
Prima di tutto non saprei da dove cominciare a raccontarlo, in quanto, per quel che mi riguarda, non ha una trama granchè lineale; secondo, sempre per quel che mi riguarda, ha più Pro che contro.
John Ajvide Lindquist cerca di avvicinarci a un temi molto particolari, sempre difficili da affrontare, quali bullismo e pedofilia. Oskar, il nostro protagonista, subisce ogni giorno le angherie dei suoi compagni. La situazione è parecchio disagiante a scuola, viene minacciato, provocato, costretto a grugnire come un maiale – dandogli, quindi, del ciccione. Una sera, mentre cerca di accoltellare un albero, sfogando l’impeto “feroce e omicida”, incontra Eli, una ragazza che vive nel palazzo accanto e che appare strana. Quanto strana, Oskar, lo capirà solo vivendo.
Lo ammetto, mi aspettavo qualcosa di più. Quando ho cominciato a leggerlo, speravo fosse davvero una favola horror, delineata da scene di orribile realtà a quelle di orribile fantasia. Mi aspettavo che il rapporto fra Eli e Oskar risvegliasse nel ragazzo l’istinto di sopravvivenza, qualcosa che lo facesse combattere, reagire alle burla dei compagni. Questo succede, ma così in minima parte da non donare quel senso di soddisfazione. Come ho detto, la trama non mi appare lineale. I personaggi sono tanti, ma il problema non sta nella quantità, quanto al fatto che non sono legati o collegati abbastanza da capire cosa centrano loro in questa storia. E questo incide sull’attenzione del lettore, il quale si perde facilmente fra i vari nomi – per altro tutti molto simili fra loro – e i vari accadimenti.
Non agevola per niente, poi, la freddezza con cui l’autore narra la storia. Vero, questo stile un po’ glaciale è quasi una firma per questi autori scandinavi, ma qui mi è sembrato di scontrarmi con un iceberg, nemmeno fossi in Titanic! I dialoghi sono ritmatici – un, due, tre, quattro-unduetrequattro -, appena scanditi da “sì; no; Io…; devi; fai; forza; veloce”. Non sono riuscita a percepire le varie emozioni, se non proprio in casi eccezionali; ma un libro del genere, penso, dovrebbe essere in grado di mutare i sentimenti: dalla rabbia alla desolazione, dalla desolazione alla sconfitta, e dalla sconfitta magari al senso di pace, beatitudine nascosta. Avrei voluto sentire le viscere contorcersi per certi passaggi; e questo non è accaduto.
Per quel che mi riguarda, non riesco a catalogarlo nel genere Horror. Forse una storia un po’ macabra, con quell’accenno che, però, non riesce a formare alcuno shock, nessun battito cardiaco, nessuna palpitazione. Le scene sono tutte un po’ sgranate: esistono, ma scompaiono un attimo dopo, così come sul finale che avrebbe voluto sicuramente più interazione, più colpi di scena. Da lettrice, mi sono sentita come in attesa della scena madre, quella più importante e, sul più bello, qualcuno spegne l’interruttore… e scena sfumata, andata via.
Lasciami entrare è sicuramente un libro da cui avrei preteso molto di più, che mi ha lasciato un po’ di amaro in bocca. Una storia che, visti i temi trattati, avrebbe meritato un approfondimento diverso, sicuramente un po’ di crudeltà in più.